Domenico ConteProfessional Film & Photography

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Nato a Torino nel 1987 dove vive e lavora, Domenico Conte è fotografo e videomaker.
Questa intervista di presentazione intende tratteggiare un affresco sul suo dialogo privilegiato con la macchina fotografica e con un’altra forma espressiva, scoperta più di recente, qual è la tecnica del videomaking.

Come è nata la tua passione per la fotografia?
«L’attrazione nei confronti della fotografia era in qualche modo già insita in me da bambino, perché mi divertiva molto tenere la macchina in mano e restavo affascinato da quell’oggetto misterioso che catturava immagini altrimenti perdute per sempre. Ricordo che durante le gite scolastiche la mia unica preoccupazione era quella di scattare fotografie, col risultato di distrarmi un po’ troppo fino a provocare richiami da parte delle insegnanti. All’epoca utilizzavo una vecchia macchina a pellicola “rubata” in casa e, giunto l’agognato momento di ritirare le foto che avevo portato a sviluppare,  puntualmente ricevevo numerosi apprezzamenti e incoraggiamenti tanto da essere spronato a continuare su questa strada. Crescendo ho proseguito con lo stesso spirito: mi muovevo spesso con la macchina a tracolla ma onestamente non pensavo di farne un mestiere».

Quando hai compreso che quella del fotografo sarebbe potuta diventare una professione?
«La svolta c’è stata subito dopo le scuole superiori quando ho deciso di partecipare a un corso di fotografia a Torino per sondare aspetti che fino a quel momento conoscevo a livello abbastanza empirico. Il mio impegno non è probabilmente passato inosservato perché Mario, l’insegnante, alla fine del percorso di studio mi ha chiesto se volessi approfondire la questione nella sua bottega. L’esperienza con Mario è stata formativa sotto ogni aspetto, dall’imparare a gestire le problematiche lavorative in senso tecnico fino al rapporto con il cliente. Verso di lui ho tanta stima e riconoscenza; il suo punto di forza è che come insegnante era davvero bravissimo e riusciva a trasmettere con facilità concetti molto complessi sia quando trattava argomenti teorici che pratici».

Quanto hanno influito le tue origini materane e la città in cui risiedi?
«Per me le origini materane sono importanti sopra ogni cosa essendo legate in maniera stretta al concetto di famiglia. Torino, invece, è una bella città che offre sempre spunti interessanti: dal punto di vista artistico, per esempio, è molto attiva a cominciare dal mondo delle produzioni teatrali, un ambiente che accende il mio entusiasmo e che contribuisce a farmela sentire cucita addosso come un vestito d’alta sartoria».

Cosa significa per te fare il fotografo?
«Fare il fotografo vuole dire saper fare un mestiere. Purtroppo credo che negli ultimi tempi, forse a causa dell’avvento dell’era digitale, questo concetto sia andato un po’ perdendosi, creando non pochi problemi ai professionisti del settore. Il nostro è un mestiere legato sia al mondo dell’arte che dell’artigianato, dove solo chi padroneggia determinate capacità e competenze può avere  piena consapevolezza di ciò che sta facendo. Non si tratta solo di saper utilizzare bene uno strumento,  nello specifico la macchina fotografica, ma anche di avere a che fare con una certa sensibilità a livello personale che di pratico ha ben poco. Mi piace fare l’esempio di quando fotografo le persone: in questo genere di fotografia i connotati tecnici sono marginali, perché per ottenere dei buoni risultati bisogna piuttosto creare una sorta di intimità con il soggetto coinvolto. Per riuscire nell’impresa ci vogliono dedizione e un approccio scientifico, senza questi elementi non si producono fotografie ma solo delle immagini “vuote”! La verità è che lavorare come fotografo e videomaker mi arricchisce giorno dopo giorno dandomi la possibilità di conoscere ogni volta qualcosa o qualcuno di nuovo».

Quali sono le dosi di preparazione e improvvisazione richieste a chi si occupa di fotografia?
«Per quanto riguarda la preparazione credo che occorra innanzitutto tanta passione per il mestiere e, perché no, un buon maestro in grado di fare emergere le doti dell’aspirante nel periodo della formazione. Sono convinto che la tecnica e l’attrezzatura siano del tutto inutili se chi scatta una foto non ci mette qualcosa di proprio. L’improvvisazione, infatti, è quella componente che ogni creativo deve trovare dentro di sé attribuendo una sorta di tocco personale al suo lavoro».

Quanto è importante essere al posto giusto nel momento giusto?
«Di sicuro per un fotoreporter di guerra è una condizione indispensabile, ma anche in questo caso non si tratta probabilmente dell’unico ingrediente necessario per ottenere lo scatto perfetto. Forse  suonerà come un’affermazione di circostanza, eppure la fotografia bisogna amarla nel suo complesso e solo così la si può raccontare con la giusta acutezza arrivando di conseguenza al cuore di chi osserva».

Quali obiettivi ti poni per il futuro?
«Per carattere sono concentrato sul presente e faccio un po’ di fatica a immaginare chi sarò e cosa farò in futuro. Ho però alcuni obiettivi ben stampati nella mente: voglio migliorare sempre e stare al passo con i tempi, un’ambizione che può apparire ovvia ma che in questo mondo richiede grandi sforzi e sacrifici. Il mio futuro lo vedo circondato da tante persone diverse con cui avviare collaborazioni, non solo fotografi ma primariamente creativi, con competenze e caratteristiche differenti, che unendo le forze possano permettermi di soddisfare qualsiasi tipo di richiesta lavorativa, dalla grafica ai siti web fino alle animazioni di computer grafica. Una naturale espansione dell’attività c’è già stata grazie all’avvicinamento alla tecnica del videomaking, una forma espressiva che ho scoperto da autodidatta, incuriosito dalla possibilità di ampliare il mio raggio d’azione. Punto inoltre a diventare un bravo fotografo di scena per avere l’opportunità di essere parte integrante del sistema scenico che rende il teatro una location d’eccezione».

A cura di Ermanno Frassoni

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